Scene di ordinario delirio digitale

Ci sono quei giorni in cui vai abbastanza di fretta. Sono puntualmente gli stessi giorni in cui trovi ostacoli di ogni tipo sulla tua strada: il traffico, l’incidente, la fila alla cassa. Ecco, proprio della fila alla cassa vorrei parlarvi.

Ore 12.10 di un giorno qualsiasi.
Il mega-negozio svedese giallo e blu è gonfio di gente. Ho comprato solamente un paio di cose, quindi vorrei evitare 40 minuti di fila alla cassa con sette miliardi di persone agitate perché dovranno armarsi di trapano e martello per montare tutto quello che hanno comprato.
Vedo in lontananza la scritta CASSE VELOCI. Non è un miraggio, quindi mi avvio in quella direzione. A 5 metri dalle casse ci sono frotte di clienti in preda al panico: la scritta “solo bancomat e carte di credito” crea più tensione di una finale di Champions. Superata quella barriera mentale che in una inesorabile selezione naturale elimina già il 50% dei clienti, si arriva dritti all’inferno.

Di fronte agli automatismi il panico regna sovrano. La paura di dover utilizzare da soli un lettore di codici a barre è troppa, per non parlare del touch screen che sembra provenire da un altro pianeta. Il 99% degli over 60, dopo aver perso 5 minuti e bestemmiato in 15 lingue si arrende e chiama il soccorso, che arriva puntuale con la casacca blu, aiutando il cliente nella difficilissima operazione di premere il polpastrello su INIZIA.

Il primo codice a barre da dover leggere è un momento al limite tra il tragico e l’emozionante: all’inizio l’ansia è troppa, ma già al secondo codice, si avanza spediti impugnando la “pistola” con una fierezza ed una lucidità che neanche i tiratori scelti dell’esercito si immaginano.

Conclusa questa parte fondamentale del processo, bisogna pagare, e bisogna farlo da soli. Trauma.
La ricerca della fessura dove infilare il bancomat trasforma i clienti in speleologi, con conseguenti momenti di giubilo al momento della sensazionale scoperta.
Si digita il codice pin, si aspetta lo scontrino ed il gioco è fatto.
I più coraggiosi scelgono la carta di credito, ma inesorabilmente si arrendono nel momento di dover firmare con una penna digitale su uno schermo. Un’operazione sconosciuta alla quasi totalità degli utenti, che in preda al panico cercano lo scontrino cartaceo da firmare con la penna che puntualmente non trovano, inconsci del fatto che siamo quasi nel 2014 e certe operazioni possono essere fatte tranquillamente in modo digitale.

I soccorritori in casacca blu corrono a destra e sinistra come barellieri il giorno dello sbarco in Normandia, la CASSA VELOCE diventa la CASSA INCUBO, e la vecchietta davanti a me conclude l’operazione con “la prossima volta faccio un’ora di fila e pago in euro”, come se pagare in autonomia cliccando su uno schermo sia equivalente a pagare con una strana moneta spaziale.

Poi tocca a me. Tac, click, 1 minuto ed ho pagato i miei oggetti, con la soddisfazione della commessa che finalmente si è potuta riposare per qualche secondo.
La gente mi guarda con gli occhi lucidi come se fossi un alieno.

Il primo pensiero che mi passa per la testa è: CASSA VELOCE… VELOCE DE CHE?

A cosa servono le casse automatiche se c’è più personale lì che nel resto del negozio? La colpa non è del negozio svedese giallo e blu che è fin troppo efficiente ed avanzato per un popolo di trogloditi digitali.

Non sarà ora di cominciare un serio processo di “educazione digitale” per tutti?
Non sarà ora di smettersela di guardare automatismi e tecnologie come se fossero armi di distruzione di massa?